L’odore agrodolce e primordiale del mare d’inverno; dipinge, la luna piena, un silenzio bluastro su preziose montagne di granito.
Su una nave in panne nell’Egeo spazzato dal Meltemi qualcuno mi chiede come mi sento; io avrei solo voglia di lasciarmi andare e seguire Marlin alla ricerca di Nemo.
Mi perdo tra le pieghe ancora calde del pigiama di mio figlio; glielo levo piano e lui sbadiglia ancora preso nel sonno.
Vorrei poter essere accanto a ognuno dei suoi pensieri di giorno e nei suoi sogni di notte.
Adoro la pizza, il pollo, le patatine; mi piacciono tutte le parole che cominciano per “P”.
Odio ragni scarafaggi e cimici, ma li invidio perché erediteranno la Terra.
L’alba impudente e opaca apparsa su un’amaca nella foresta amazzonica, mi ha sussurrato che avevo passato la notte con una “cucaracha” di un etto.
Vedo due corpi vicini dopo aver fatto l’amore. Di rimando un “anch’io”, detto a un “Ti amo” forse un po’ troppo presto. Forse il silenzio, senza il timore di vedere cosa si nasconde dietro la prossima curva.
Ascolto il respiro di Dio provenire dalla cascata più alta del mondo e mi specchio negli occhi color caffè di un Indio seminudo.
Mi prende la nausea di fronte all’abisso che si spalanca tra lui e lo stronzo che mi tallona a centosessanta all’ora sulla corsia di sorpasso facendomi i fari.
C’è la mano di un bimbo imbacuccato che si affida a quella dell’uomo mentre camminano sereni sul ciglio della strada; rido di colui che blocca la mia in una stretta eccessiva solo per dimostrarmi quanto è forte il legame con la sua vanità.