L’eterno ritorno

Capannoni, garages, scantinati; enormi vani dietro porte di ferro e vetro che non contengono più nulla. Dall’altra parte del cortile di sanpietrini un’altra porta, sempre in ferro ma più piccola e senza luce: il cesso.

Siepi di bosso rachitiche suddividono come possono il poco spazio disponibile dentro fioriere grandi come vasche da bagno.

All’interno, la carcassa è antica e geometrica: alti pilastri a sezione quadrata, soffitti a botte, a falde inclinate, chiuse su un lato da serrande sporche e sbrecciate in vetro retinato. L’acustica è pessima, ma sinceramente l’acustica, in questi casi, è veramente l’ultima cosa. Invece la luce del sole è sempre stata importante, anche d’inverno, poterne sfruttare fino in fondo anche l’ultima goccia rosata era una sapienza lontana che sapeva anche un po’ di stalla e di fieno ammuffito. Contorni fuligginosi impressi dal tempo raccontano un percorso tecnologico sulle piastrelle rettangolari o sull’intonaco grezzo che una volta doveva essere stato bianco. Scale, porte, ballatoi, tutto di ferro. Il cemento sui pavimenti, a vista o ricoperto di linoleum nero antiscivolo con le bolle, garantisce spostamenti rapidi e carichi sicuri. Tutt’intorno solidi muri destinati per legge “ad usum fabricae”.

Un tempo, uomini e donne erano impegnati a tornire, saldare, calandrare, filare, linotipare, avvitare, incollare, cucire. Gesti meccanicamente ripetuti all’infinito per accompagnare la materia alla forma prestabilita e trasformare maccheroni, minestroni, sformati, e cotolette in fiato, scoregge e sudore. Il processo produttivo che scorre parallelo al processo biologico e lo inghiotte nascondendolo.

Uomini e donne in continuo movimento, osservati, controllati, cronometrati. Proibito pensare. A vederli così, verrebbe da dire brulicanti, frenetici, eccitati, come insetti laboriosi; se non fosse che non sono insetti ma esseri umani, e che per anni hanno contato le lunghe ore del giorno e della notte che li separavano dalla fine. Il suono della sirena. Il cambio turno. Ahhh…lleluia!

Fuori di lì, ad attenderli, l’agognato riposo. Meritato? Di sicuro necessario. Come necessario era il movimento controllato e cronometrato là dentro. Uno necessario al processo biologico, l’altro a quello produttivo. Difficile il viceversa.

Quindi cena, ognuno secondo i propri gusti e le proprie possibilità; e poi a letto. Prima i bambini e poi i grandi. A dormire. O a fare l’amore. In silenzio. Per quanto possibile. Ah..ah…ah…lleluia. Questo prima che entrasse in casa la televisione, perché poi le voci hanno avuto un volto, e passando dalla cucina alla camera da letto ci si sentiva ancora un po’ osservati da quelle facce così famigliari e ben pettinate. Qualcuno nel cambio ci ha guadagnato, per qualcun altro è stata la rovina, sia davanti che dietro lo schermo.

Oggi comunque, non tutto è perduto. Per fortuna si è rinnovato e ricontestualizzato. In altri spazi o negli stessi, nuove opportunità si sono affacciate all’orizzonte del terziario. Viva il progresso che trasforma ancora una volta la materia, elevandola ora da semplice massa grezza e informe al suo nuovo stato di spirito pagano. La sublimazione della materia si stempera in un vapore tiepido e rassicurante, che è un’opera impalpabile e pure assolutamente necessaria. Parola chiave: progresso.

Chi non è al corrente sarà informato. Chi non accetta sarà riprogrammato. Chi non si uniforma verrà accantonato. Alla fine non potrà che convenire o rimanere al palo. Deriso. Isolato. I dinosauri sono stati annientati dalla fragorosa risata di un topo.

Gli stessi uomini e le stesse donne attendono ora pazienti la medesima fine seduti tutto il giorno dietro una scrivania di compensato, specchiandosi in un monitor piatto e opaco che li collega al mondo. O specchiandosi ognuno nella nuca dell’altro, nella sua cervicale, nei suoi pensieri. Proibito sudare. Il climatizzatore è di serie.

Le ore non si contano più. Non c’è bisogno. Giorno e notte si confondono in un’unica luce appiccicosa e bluastra, tremolante ed eterna, quasi rilassante.

Una volta fuori di lì, si rientra, in fretta, negli stessi antichi luoghi per una piccola silenziosa sgroppata che manterrà il motore lubrificato e scattante. Poca cosa, ma necessaria, al solito, al buon funzionamento del sistema e, soprattutto, col sorriso sulle labbra. A parte i consigli del medico, viene comodo anche solo per una doccia a scrocco e per nutrire il proprio ego con i difetti dei propri simili nudi negli spogliatoi piastrellati. Adesso per poter sudare si paga. Scolpire il proprio corpo maneggiando dischi, carrucole e bilancieri che sfidano questi sì la gravità, è un lusso e un piacere che siamo ben lieti di mostrare e di pagare. E di mostrare di pagare. Attenendoci scrupolosamente a percorsi e tabelle. Cronometrati. Senza barare, perché ora è davvero stupido e…contro-producente.

Tutt’intorno gli stessi muri, pavimenti e finestroni, ad ascoltare, osservare, annusare. Gli stessi, uomini, le stesse donne, la stessa puzza.

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