Sta accadendo qualcosa. Qualcosa che sta prendendo piede abbastanza rapidamente. Non so esattamente come definirlo, non vorrei sembrare polemico o qualunquista. Odio essere qualunquista. Generalizzazione e qualunquismo sono la morte dell’individuo empatico e soprattutto di una storia che valga la pena di essere raccontata. Tenterei quindi un’interpretazione un po’ più scientifica, induttiva, che troppo male non fa’, non si erge a verità assoluta e soprattutto può essere smentita da chiunque in qualsiasi momento. Diciamo quindi per il momento che, secondo me, qualcosa a un certo punto è successo, e sta ancora succedendo.
L’ho chiamato “Tramonto della/e professionalità”, ma avrei anche potuto chiamarlo menefreghismo, apatia, pressapochismo, scoglionamento sociale.
Mi fa orrore pensare di dover aggiungere subito: “una volta non era così…” sa veramente di vecchio e noioso (oddio, forse lo sono anch’io vecchio e noioso, ma faccio di tutto per dissimularlo).
Quindi, visto che forse lo sono davvero, lasciatemi fare una riflessione da vecchio e noioso. Giusto per vedere se qualcun altro (magari invece giovane e rampante) la pensa più o meno allo stesso modo.
Vi faccio alcuni esempi, tanto per inquadrare il problema. Che di per sé potrebbe anche non essere un problema…L’asteroide (o gli asteroidi) che ha colpito la Terra 65 milioni di anni fa, è stato un “problema” per i dinosauri, ma non per i piccoli mammiferi o per i pesci. Quindi forse è semplicemente così che devono andare le cose.
Primo esempio: vai dal tuo medico, quello generico, quello che appunto “una volta” ti visitava (un minimo), magari veniva pure a casa, ti diceva cosa avevi e ti prescriveva una cura. Stessa scena oggi:…Tu gli/le telefoni (solo in determinati orari: tipo la mattina dalle 8.00 alle 8.15 se trovi libero), spieghi, prenoti la visita (se lui/lei ritiene sia abbastanza grave), ti presenti (solo in poche e selezionate fasce orarie), gli/le spieghi, anzi gli/le rispieghi (dalla sedia, perché figurati se ti visita), e alla fine, scocciato, la fatidica domanda: quindi, secondo lei, che cos’è? (ma del medico però!).
Oppure vai in banca: i pochi esemplari esposti sono male illuminati e fruibili da lontano, in silenzio. Igrometri, telecamere, un guardiano seduto, magari da remoto, niente foto. Regna la penombra e il fruscio, sembra di entrare in un museo italiano. La maggior parte del lavoro te lo sei già fatto tu da casa, on line: saldi, bonifici, investimenti,…Tutte cose che una volta (appunto) facevano loro e che invece adesso fai tu e paghi pure per avere il privilegio di fartele. Anche in questo caso, se vuoi parlare con una persona in carne e ossa (e non con un tutor virtuale), devi prendere un appuntamento. Guai presentarsi così, all’improvviso, potrebbero pensare a una rapina. E saresti l’unico perché pure i ladri hanno rinunciato…
Chiami l’elettricista perché il forno elettrico va in corto. Al telefono ti chiede: modello, numero di matricola, potenza erogata, anno d’installazione, dimensioni, scheda tecnica (se disponibile), descrizione dettagliata dell’incidente che ha provocato il guasto…praticamente un’anamnesi completa dell’apparecchio; dopo la quale può decidere a sua discrezione se gli conviene uscire (sempre su appuntamento), oppure se te lo devi riparare da solo; che a quel punto lo puoi anche fare, perché ormai ne sai più tu di lui.
Altro esempio: vai in officina (previo appuntamento con settimane d’anticipo in cui avevi spiegato al telefono cosa aveva l’auto, sempre che tu non debba anche compilare qualche modulo on-line), gliela porti e il meccanico, guardandoti come se gli stessi rompendo le palle, ti chiede serafico: allora, qual è il problema? Così tu glielo rispieghi, lui dice che ha capito tutto e quando vai a ritirare la macchina, il problema c’è ancora (ma te ne accorgi solo quando esci dall’officina) perché – ti spiega poi lui – il pezzo che ci vuole l’ha ordinato e dovrà arrivare.
Potrei andare avanti ancora, ma preferisco arrivare rapidamente a un punto che mi sembra più interessante.
Anzi no, un ultimo caso prima di concludere. Mettiamoci dentro anche il modello Ikea, quello con cui il signor Kamprad è diventato miliardario facendo costruire i mobili ai suoi clienti. Fighissimo, eh, forse era necessario; dopo il motto: “una casa per tutti”, è arrivato lui con “una casa per tutti decentemente arredata”. Però poi, alla fine, quando uno s’è riempito mezza casa di robe Ikea e si guarda intorno soddisfatto, capisce anche che insieme alla soddisfazione per essersi fatto la maggior parte del lavoro da solo, arriva la consapevolezza che “una volta” chi ti faceva il mobile veniva anche a montartelo per assicurarsi che il frutto del suo lavoro rappresentasse al meglio chi era e cosa aveva fatto.
Cioè, intendiamoci, va bene anche così. Dopo una giornata intera passata davanti al PC, muovendo a mala pena la mano del mouse, un po’ d’esercizio fisico non può che far bene. Se non si va in palestra, anche una libreria “Billy” può servire allo scopo. E infatti non ce l’ho con il signor Kamprad. Ce l’ho con tutti quelli che quando vai a chiedere un servizio (o prestazione, che dir si voglia), per i quali sarebbero anche pagati, ti trattano come se puzzassi di carne avariata. Non tutti, eh, intendiamoci. Non si può mai dire “tutti”. L’eccezione che conferma la regola c’è quasi sempre. Però credo che si possa tranquillamente parlare di “andazzo”. Ovvero di un progressivo e neanche tanto lento depauperamento della capacità di attenzione al proprio lavoro. Dell’assottigliamento delle competenze e della mancanza di cura e precisione nelle cose che si fanno (soprattutto per denaro, che se ci pensiamo è assurdo). Sia in chi una prestazione la dovrebbe dare, sia anche in chi, probabilmente più per rassegnazione che per altro, quella prestazione la riceve.
Adesso, non dico che il cliente ha sempre ragione, perché non è vero. Cioè è vero, ma con riserva. Il cliente gentile ha sempre ragione, il cafone fai di tutto per levartelo dalle palle, sempre che tu non abbia assolutamente bisogno anche di lui, nel qual caso te lo tieni stretto e ti turi il naso. Ora, siccome non credo di essere un cafone, o che la gente non abbia bisogno di tutti i clienti che può avere, sorgerebbe spontanea una domanda. Per forza sorge. E magari anche più d’una, tipo: ma quali le cause, perché, per come, da quando, la società, gli individui, la famiglia, il consumismo sfrenato e rottamatore…E fermiamoci qua, che già ci sarebbe di che riempire pagine di inserti culturali o ore di salotti televisivi. Quindi tagliamo la testa al toro e andiamo oltre; saltiamo un passaggio. Supponiamo che il meteorite sia già caduto e che sia giusto così. Per tremila motivi. Alcuni dei quali magari neanche li conosciamo. Supponiamo che stiamo veramente assistendo al tramonto delle professionalità (o perlomeno alla morte di molti lavori e alla nascita di nuovi), e che presto o tardi saremo destinati a farci tutto da soli, on line: curarci da soli, aggiustarci le cose da soli, magari stampandoci i pezzi in 3D, progettarci le cose da soli, prenotare tutto da soli, gestirci i soldi da soli, noleggiare tutto e non possedere niente,…
A quel punto, credo, gli scenari possibili saranno solo due. O sarà una figata pazzesca, perché assisteremo alla nascita di un nuovo “homo respons-habilis” (che non dovrà più lavorare perché sarà troppo impegnato a fare lui tutti i lavori del mondo), oppure sarà il tracollo totale.
Le poche o tante professionalità rimaste saranno stockate dentro potentissimi server che ragionevolmente saranno in mano ai soliti ig-noti. I pochi volenterosi o eletti, si scaricheranno direttamente nella corteccia cerebrale le informazioni di cui avranno bisogno per cambiare un termostato dello scaldabagno o una valvola cardiaca, magari in licenza temporanea, che costa meno. Se per qualche disgraziato motivo (ma neanche troppo) dovessero andare in crash tutti i server del mondo, o avremo memoria delle competenze acquisite nel corso della nostra breve e insignificante vita, scambiandocele magari sui social o col passa parola di condominio; oppure ritorneremo all’età della pietra, cercando di ricordare come si faceva a scheggiare un pezzo di selce con le mani.