Una sera a teatro

Tempo fa mi è capitato di andare a teatro.

Non dirò né il teatro né lo spettacolo.

Non perché non voglia ma perché questa non è una critica a quello spettacolo in particolare o all’autore, solo una considerazione generale, che vuole andare un po’ oltre.

Fatto sta che dopo un po’, cioè dopo circa dieci quindici minuti, avevo già capito che non mi piaceva (per la verità l’avevo capito anche prima, però ho voluto concedergli il classico quarto d’ora accademico che non si nega a nessuno. O quasi).

Vari punti deboli, qualche ingenuità, gli attori così così, insomma, ci siamo capiti; il punto però è un altro.

Il punto è che mi capita sempre più spesso di vedere spettacoli che non mi piacciono, a Milano; altrove magari sarà diverso, non so.

Quindi, siccome è un po’ di tempo ormai che ci vado, a teatro, e un po’ vuol dire anni, si aprono due scenari possibili.

O il mio gusto è cambiato e sono diventato molto più esigente, a parità di qualità media; oppure il mio metro di giudizio è rimasto più o meno inalterato e la qualità degli spettacoli è scesa parecchio. Terza possibilità (anche se remota): ultimamente incappo solo in un certo tipo di spettacoli; ma personalmente credo molto più al caso che alla sfiga.

Comunque sia, la risposta ovviamente non c’è.

Potrebbe essere una combinazione dei due fattori: un po’ è cambiato il mio gusto, un po’ è scesa la qualità. Oppure la qualità media è rimasta pressoché inalterata e io sono diventato molto più intollerante a certi “spettacoli” (in tutti i sensi), che onestamente definirli imbarazzanti è riduttivo.

Non voglio infilarmi qui nel vespaio della qualità perché poi bisognerebbe tirare in ballo tutta una serie di considerazioni sulla cultura contemporanea italiana in generale, che poi non se ne esce più. Risorse, idee, artisti, società, economia, servizi occulti, deviati, interessi, insomma, un bel casino. Onestamente non mi va, e forse non ne sono neanche capace.

Né voglio tirare in ballo l’evoluzione del mio metro di giudizio, perché anche supponendo che fossi in grado di affrontare un’analisi onesta e accurata di quest’’”oggetto” oscuro, non credo che interessi a qualcuno.

Invece, tornando alla mia serata a teatro, mentre ero lì che pensavo, anzi sentivo proprio che lo spettacolo mi procurava anche un certo fastidio, mi sono affiorate alla mente (che quando non è presa da quello che sta vedendo, inizia a vagare liberamente per i cavoli suoi), tutta una serie di considerazioni che vado a elencare:

Vabbè, e mo’ che faccio? Resto fino alla fine? Uhmmm, mi sa che me ne vado prima. Sì, ma quando? Adesso pare brutto. Dovrei sfilare davanti a tutti. Poi gli attori. Per loro mi spiace.

Oltretutto mi sa che prima di iniziare hanno sigillato la sala; quindi mi toccherebbe armeggiare con la maniglia della porta, fare casino e sperare che le maschere non mi guardino troppo male. Troppe incognite. Lasciamo stare. Per ora.

Carina la maschera che m’ha strappato il biglietto entrando. Vent’anni al massimo. Per forza, quanti ne deve avere per fare questo lavoro sottopagato?

A proposito di biglietto, dov’è che l’ho messo? Tasca. Quale tasca? Questa. Qualche volta ce lo scrivono pure sopra se c’è l’intervallo. Però, anche se c’è scritto, con ‘sto buio, hai voglia…

Certo che, una volta c’avrei guardato prima. Anzi no, una volta non c’avrei proprio guardato perché ero più fatalista: se c’è, c’è, se non c’è, amen.

Invece quello che c’è sicuramente qui dentro è un caldo della madonna. Senti che roba. Strano perché di solito risparmiano pure sul riscaldamento. Sarà l’effetto stalla. O la piadina che ho mangiato. O il maglione troppo pesante. Come lo spettacolo. Cià che lo levo. Il maglione. Non adesso però. Troppo silenzio. Magari su un cambio scena. O un applauso. Ammesso che arrivino.

Nel frattempo potrei mettermi a contare i colpi di tosse, che quelli sì che fioccano. Mi sa che stasera ci scappa il record. Almeno sulla mezza distanza: fino all’intervallo. Sempre che ci sia. Potrei scriverlo nei commenti allo spettacolo. Giudizio: 89 colpi di tosse e un disperso.

Chissà, magari è proprio il caldo. Speriamo non venga da tossire anche a me che poi allora tutto sto giudizio lo sai dove va a finire.

Sarà meglio che mi levi ‘sto maglione prima possibile.

Mamma mia, però che palle ‘sta roba! No, non il maglione….Fammi pensare: ma chi è che l’ha scritta? Manco questo, ricordo. Mah…sarà che non era poi così famoso, sennò me lo sarei ricordato. Forse.

Cioè, dài, adesso, onestamente, ma li senti? Poracci, gli attori ci provano anche (qualcuno), ma non c’è una sola battuta che funziona. Tutta roba piatta. Senza il non detto. Banali. Scontate. Riportate.

Che poi, a pensarci bene, adesso non vorrei dire un’eresia, ma come si fa a credere al teatro di questi tempi? Cioè, come si fa a credere a un tipo di teatro fatto così, di questi tempi. Ammesso poi che ci sia un tipo di teatro per ogni tempo. Anzi, meglio, uno spettacolo per ogni stagione (dell’anno). Stagione-teatrale, stagione-dell’anno. Carino…

Oddio, secondo me, se uno spettacolo è bello, è bello sempre. Comunque…

Oh mamma! Uhff, senti che roba! Mi sa che qualcuno ne ha tirata una pesante.

Porca miseria. Che bomba. Attenzione! Pericolo! Evacuare la zona contaminata. Trattenere il fiato. Respirare poco. Eclissarsi. Scomparire. Tutti al teletrasporto. Ehh…Magari fossimo in una puntata di Star Trek.

La prossima volta devo ricordarmi di portare il Vicks Vaporub. Come all’obitorio. Non che io ci sia mai stato. Roba da telefilm.

Secondo me è stata quella vecchia lì a destra con la camicetta a sbuffo e la collana di perle. E gli orecchini di perle. E l’anello di perle. Se magari se le fosse mangiate le perle, invece che i fagioli di “Trinità”.

Anzi, no, guarda. Eccolo lì il colpevole: il marito. Duecent’anni minimo. Duemila spettacoli visti all’attivo, Ecco perché tossiva così prima. Per coprire il rumore. Che poi queste qui sono quelle silenziose; le peggiori. O magari invece gli è venuta tossendo. Scompensi aerobici di fine stagione (della vita). Carino, anche questo, quasi quasi me lo segno.

‘Spetta che mi levo il maglione così faccio un po’ d’aria.

Ahhh…respiro. No. Illusione. E’ durato solo un secondo. Già finito. Non ce la farò mai. Non uscirò mai vivo da qui.

Che poi, una volta fuori, che faccio? È ancora presto.

Potrei andare a casa a giocare alla playstation.

Ma io non ho mia giocato alla playstation. Non ce l’ho neanche la playstation. Infatti; m’è venuto in mente solo perché l’attrice, in scena, quella che fa la parte della madre, prima ha detto che suo figlio gioca sempre alla playstation.

Potrei provare col tablet di mio figlio. Anche se, dubito che…

O magari un film. È che non ho guardato che c’è in TV stasera. Per forza, dovevo venire a teatro.

Ci contavo su ‘sta cosa. Se solo avessi sospettato, un occhio magari glielo davo. Così mi trova impreparato.

Cià, fammi ascoltare un po’ và. Dov’è che vuole andare questa qua a cercare suo figlio?

Boh, forse sarò io che non riesco a entrare, non so. D’altronde, questi qui ridono tutti come pazzi. Pure i due vecchi scorreggioni. A me non viene proprio da ridere. Che cazzo ci sarà da ridere? Non mi sembrano dialoghi così esilaranti. A dir la verità non mi sembrano neanche ironici; o drammatici. Cioè, non si capisce proprio cosa dovrebbero essere; ecco cos’è. Boh. Colpa mia.

Chissà la maschera che starà facendo là fuori. Starà parlando con le altre maschere, immagino. Magari sono usciti a fumarsi una sigaretta e intanto decidono che fare più tardi. D’altronde, vent’anni…ehh…

Chissà se a vent’anni ci credono ancora al teatro. Magari a quell’età va bene tutto. Chissà. O fa tutto schifo. O si riesce già a capire, ma non si ha il coraggio di dirlo. Boh, io a vent’anni non capivo un accidente. E forse neanche adesso…

Potrei andare a casa e mettere su un DVD.

Ehhh…Ma, a proposito: meglio una cosa brutta che non ho mai visto da sorbirsi fino alla fine, o una mezz’ora d’un bel film che hai già visto decine di volte?

Mmmm…interessante. Potrei scrivere anche questo sul foglio dei commenti; dopo i colpi di tosse. E prima del disperso.

Mi sento un disperso. Un naufrago ribelle. Un ossimoro esistenziale suburbano.

Sto vaneggiando. Sarà il caldo. E la puzza di merda.

 

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