Gli idealisti ci insegnano che la cosa in sé non esiste. Kant a suo modo e a suo tempo aveva minato fin nelle fondamenta la metafisica; Nietzsche l’ha uccisa del tutto. Eppure l’ordine che mettiamo nelle percezioni che abbiamo del mondo (dentro e fuori di noi) in forma di leggi, teorie, visioni del mondo, semplici preconcetti, deve ancor oggi (e suppongo per molto tempo ancora) fare i conti e ritornare docilmente a un “altro da sé”, senza timori o supponenza, anche solo per verificare se quello che abbiamo formalizzato ha un minimo riscontro con la realtà. È fin troppo rassicurante, pre-adolescenziale, pensare che la causa e il fine ultimo di ogni cosa stia solo dentro di noi o, ancor più ingenuamente, dentro il nostro pensiero. La maturità dell’uomo e della donna dovrebbe coincidere appunto con quest’ammissione d’impotenza, questo lasciarsi meravigliare sempre, almeno fino a quando non subentra l’ansia da prestazione o la rinuncia totale a capirci qualcosa. In questo continuo riflettersi tra visione e realtà (come due specchi che si riflettono l’uno dentro l’altro) l’uomo si pone antropocentricamente nel centro, appunto: copula mundi.
Nel caso particolare, potremmo pensare di raccogliere le percezioni di ognuno di noi in una sorta di matrice comune, derivante a sua volta da un comune modo di intendere e di ritornare alla realtà. Se per esempio limitiamo il campo a un solo individuo, una sola percezione per volta e al tempo (in cui siamo comunque immersi come pesci nel mare), potremmo tentare di definire una singola cellula di percezione come una matrice tridimensionale un po’ “flessibile”, avendo appunto individuo, percezione e tempo nelle tre dimensioni. Allargando poi lo sguardo all’intera umanità e alla molteplicità delle percezioni, si potrebbe allora parlare di matrice n-dimesionale che dovrebbe appunto aiutarci a stabilire un qualche tipo di contatto o relazione con ciò che più si avvicina alla cosa in sé senza esserlo (sia essa un oggetto, un fatto, un fenomeno scientifico, un generico accadimento del mondo).
Tale matrice sarebbe d’aiuto nel cercare di definire l’“essenza” della cosa, riconducendola a un concetto più probabilistico, a un’intersezione insiemistica di tutte le percezioni che ognuno di noi ha di quella cosa. L’intersezione di tali insiemi non vuoti racchiudenti la medesima “cosa” potrebbe allora immaginarsi come una porzione di spazio che potrà avere un’estensione variabile a seconda delle differenze di valutazione (o ancora percezione) da parte di tutte le persone del globo. E’ chiaro che se restringessimo il campo all’ambito scientifico e sostituissimo le percezioni con le osservazioni, queste differenze (o scostamenti) sull’essenza di ogni singola “cosa”, dovrebbero potersi ridurre quasi a zero. Badate bene, non sto cercando di riportare in vita la metafisica (ho esordito facendo ben intendere che probabilmente non ne è rimasta che polvere da Aristotele in poi). Quando parlo di essenza della cosa in ambito scientifico è chiaro che mi riferisco alla verificabilità (quindi falsificabilità) incontrovertibile di ogni singolo fenomeno scientifico che l’uomo mette sotto la lente del suo potentissimo microscopio razionale.
Per tutto il resto, potremmo pensare di rappresentare questa “percezione maggiormente ricorrente” PMR (o “Opinione Maggiormente Ricorrente” – OMR nel caso si tratti di informazioni che viaggiano per lo più in rete ormai), come una Gaussiana, ovvero la curva a campana che descrive la probabilità che un certo evento si verifichi. L’evento che ha la probabilità più alta di accadere è localizzato nel picco centrale della Gaussiana, e quanto più questo è alto e stretto, tanto più gente mette d’accordo. L’”essenza” probabilistica altro non è che la percezione (opinione) più ricorrente che ne hanno gli uomini, o le donne, o chiunque altro essere vivente dotato di un po’ di autocoscienza.
Ora, è chiaro che parlare di percezione, opinione e informazioni come fossero totalmente intercambiabili è una forzatura piuttosto grossolana; ovviamente si riferiscono a modi diversi in cui gli esseri umani acquisiscono o valutano “stimoli” esterni, ma cercate di fare uno sforzo, o un doppio salto mortale se preferite, e seguitemi fino alla fine del discorso. Quindi, dicevamo, questa percezione maggiormente ricorrente (PMR) non può che essere a sua volta influenzata dalla variabile tempo, visto che mutano appunto nel tempo sia le percezioni che le coscienze degli uomini. Se inoltre consideriamo l’utilizzo che oggi si fa delle informazioni (intese come pacchetti di dati che dobbiamo digerire al secondo), più che delle percezioni (intese come ciò che va a “stimolare” direttamente i nostri sensi, che interessava più i filosofi classici e moderni ma che forse non sarebbe male andare un po’ a riscoprire anche ai giorni nostri), nel farsi un’opinione della realtà, sia essa dentro o fuori di noi, sia essa virtuale o “tutto ciò che non è virtuale”, si capisce bene l’importanza di chiarire l’evoluzione che queste (le informazioni) hanno avuto nel corso del tempo.
Quanto più le nostre opinioni si basano su input derivanti da informazioni mediate, tanto meno saranno affidabili, e quindi fonte di errore e di fraintendimenti. Quanto più la Guassiana è stretta e alta, tanto più precisa sarà la PMR (OMR), e quindi univocamente definita da e per un gran numero di persone l’“essenza” di quella cosa. Quanto più la Gaussiana è larga e dispersa intorno alla media, tanto più vaga sarà la PMR, col risultato di avere più possibilità d’interpretazione per quello stesso fatto o fenomeno. Ciò cui assistiamo oggi, con la globalizzazione della cultura, è il restringimento delle gaussiane: ogni fatto, ogni bit d’informazione è ugualmente e immediatamente percepito-recepito da ogni essere umano del globo come “verità assoluta”. E non c’è apparentemente alcun modo di pensare (supporre, dubitare, intuire) che una cosa possa essere diversa da come ci viene riportata.
L’intersezione di infiniti insiemi si riduce a un punto infinitamente piccolo, che dovrà per forza rappresentare l’unica e sola PMR o OMR universalmente accettata (come vuole la scienza). L’intero globo terrestre si contrae in un unico punto d’accesso, a cui siamo connessi come tanti “clients” ad un unico server centrale. Non è più necessario essere depositari di nulla, tutto quello che ci serve per farci un’idea della realtà si trova da qualche parte stivato in un “server”. È l’orizzonte della memoria. L’oblio verso il quale ognuno di noi è accompagnato dal pilota automatico globale. L’effetto di levigatura e livellamento pone fine alla fatiche di millenni di ricerca metafisica e supporta gli uomini e le donne più indolenti nel definire in un determinato momento, ovvero al bisogno, quale sia la verità su qualsiasi “cosa” ci venga propinata. L’immediatezza e l’estrema facilità di accesso produce il tanto agognato e democratico schiacciamento della distanza tra percezione e realtà, riducendolo a un “epsilon” piccolo a piacere che mette d’accordo un po’ tutti.