Qualcuno, non io, ha coniato un neologismo curioso: ‘tautismo’, da una contrazione di autismo e tautologia. L’autismo, nella definizione più semplificata, è la malattia dell’autoaffermazione in cui l’individuo, ma anche le organizzazioni, non provano il bisogno di comunicare o di confrontarsi con gli altri, giacciono in una sorta di autosoddisfazione comunicativa, organica e ludica. Tautologia invece è quella forma retorica in cui soggetto e predicato sono uniti in un unico e identico concetto.
Potremmo quindi definire il tautismo come una sorta di autismo tautologico, un meccanismo che evoca una chiusura totale dell’individuo su se stesso che è insieme sorgente e pozzo di ogni sua tensione e pulsione verso un fuori che ritorna subito dentro. Linee di campo magnetico che ci riparano dalle influenze esterne come le fasce di Van Allen con il vento solare.
Perché?
Probabilmente non esiste una sola risposta. Bisognerebbe forse cercare indizi nella società, nella famiglia, nella scuola, nel mondo del lavoro,…Tutte entità che ci sono sempre state, ma che evidentemente hanno subito e subiranno ancora nei decenni a venire profondi cambiamenti mutando il loro rapporto con l’individuo che le popola e le vive.
Ciò che forse potremmo rilevare più facilmente è il paradosso che si è venuto a creare dopo l’avvento delle tecnologie che ci consentono di essere costantemente e continuamente connessi e collegati alla rete.
Tutto ciò moltiplica enormemente le nostre potenzialità comunicative: maggiore velocità di trasmissione, maggiore varietà di supporti, accesso distribuito, quasi totale uniformità del linguaggio digitale,…Tutto alimenta l’illusione di appartenere a una grande comunità e di sentirci meno soli.
Ciò di cui non sempre ci rendiamo conto è che a questo si accompagna un incessante rumore di fondo, un aumento del volume, una moltiplicazione degli stimoli, una ridondanza di messaggi a scapito della loro profondità.
Quindi, da una parte si va presto verso la saturazione (per forza!): diminuisce la capacità critica, crescono l’incapacità di ascolto e le difficoltà a sviluppare relazioni interpersonali autentiche.
Dall’altra si arriva a pensare che dopo tutto, e forse proprio in coseguenza di questo, del marasma che ci circonda possiamo anche fare a meno, visto che tutto il mondo può stare benissimo nella breve distanza che c’è tra me e il monitor.
Lo scenario che ci si prospetta è quello di finire soli e sordi in un universo di virtualità comunicative.
Ma l’uomo si adatta e si evolve da milioni di anni. Quindi aspettiamo di vedere che faccia avrà l’Homo sapiens post-informaticus….