Supponiamo che al momento della nostra nascita ci venga consegnato il libro del nostro destino, talmente minuzioso e particolareggiato da riportare giorno per giorno quello che ci succederà.
Supponiamo ora di tenere un diario della nostra vita in cui, istante per istante, scriviamo quello che ci succede.
Alla fine della nostra vita, che differenza ci sarebbe tra i due volumi?
Al di là del fatto che il primo sarebbe solo un puro parto della nostra fantasia (fino a prova contraria), e l’altro solo uno sforzo immane e maniacale di tenere traccia della nostra esistenza, in linea del tutto teorica non dovrebbe esserci alcuna differenza. E questo forse per qualcuno potrebbe essere perfino rassicurante: se non c’è nient’altro da aggiungere vuol dire che ho fatto tutto quello che dovevo fare, niente di più, niente di meno. Nel bene e nel male.
Il problema è che molto probabilmente la vita non può essere ricondotta a una semplice teoria filosofica. E che ci sarebbe da augurarsi non solo che i due libri non coincidano, ma soprattutto che nessuno dei due libri esista, nemmeno per ipotesi.
Pensiamo se per assurdo passassimo tutto il tempo a scrivere quello che ci succede, minuto dopo minuto, anno dopo anno; non avermmo più tempo per vivere e non avremmo più niente da scrivere.
Tra quello di cui sto scrivendo e quello che mi succederà di lì a poco, non passa che un piccolo spostamento sulla mia geodetica dello spazio-tempo, sufficiente però a far sì che uno sia scritto sul diario e l’altro sull’ipotetico libro del destino.
Il destino deve essere sempre una pagina avanti a noi. E’ possibile che ci sentiremo spaesati, intrappolati tra la pagina che non abbiamo ancora scritto e che abbiamo già vissuto, e quella già scritta ma che non abbiamo ancora vissuto; ma è giusto che sia così. E’ proprio grazie a quella frattura che si può scegliere di vivere la propria vita e non quella scritta da qualcun altro per noi.